Anni fa andai andai in un locale di Torino famoso per le sue serate di cabaret. Tipiche serate alla Zelig. Uno via l’altro a schiaffo con presentatore brillante.
L’unico vero pezzo un po’ cabarettistico che io abbia mai avuto è quello che inizia così: “se tu fossi un puffo, tu saresti il puffo stronzo”.
Pezzo che mi valse la possibilità di partecipare ai laboratori Zelig, tra l’altro.
Comunque sia, salgo sul palco e leggo la mia poesia sul puffo, che continua dicendo: “se tu fossi un barbapapà, tu saresti barbamerda”, “se tu fossi un supererore, tu saresti la donna muco” e alla via così.
Il pubblico ride, fino al verso finale che recita: “se tu fossi il sole, cazzo che freddo”.
Ride poco, lì, il pubblico
Rimane un po’ freddo.
A spettacolo finito, c’è una sorta di riunione durante la quale il capo della serata analizza i vari pezzi con i cabarettisti.
A me fa: “Non ho capito il finale, hai rovinato tutto con il finale”.
Non aveva capito il finale.
Il capo non aveva capito.
Quella sera io capii che con il cabaret contemporaneo italiano avrei avuto serie difficoltà per molto, molto tempo.
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Eccola:
TU
se tu fossi un puffo
tu saresti il puffo stronzo
se tu fossi un barbapapà
tu saresti barbamerda
se tu fossi un supereroe
tu saresti la donna muco
se tu fossi un pokemon
tu saresti un pokemon qualsiasi
tanto fanno schifo uguale
ma poi, a conti fatti
e concludo
tu sei tu e solamente tu
gli orpelli lasciamoli a poeti e poetesse da fiera
letteraria
se tu fossi il sole
cazzo che freddo
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