eravamo io
Gimmi Varazze
e il suo cane, Schifo
Schifo sembrava fosse scaturito dal big bang di un cesso
otturato da eoni
puzzava di morte
era zoppo
anche Gimmi ai tempi non è che se la passasse benissimo
alternava momenti di lucidità a crisi di cecità miste a catarro
giuro
gli uscivano chili di catarro dagl’occhi
e quando succedeva, impazziva
e prendeva a calci tutto quello che gli capitava a tiro
tipicamente Schifo, il cane, appunto
eravamo seduti su una panchina dei giardinetti
era primavera
eravamo euforici di tristezza
che sembra un controsenso
ma esiste
eravamo così tristi da esserne eccitati
le cose ci andavano male
ma male male
io la sera prima avevo tenuto una lettura di poesie
insieme a un pianista
in un locale
solo che non era venuto nessuno
anche il proprietario a un certo punto se n’era andato
lasciandoci lì, io e il pianista
eravamo rimasti lì soli a bere delle birre in bottiglia
io gli avevo letto qualche poesia al pianista
lui mi aveva suonato un paio di pezzi
poi ce n’eravamo tornati a casa a piedi
“e vi ha pagato il proprietario?” mi chiede Gimmi
“non l’abbiamo più visto” gli rispondo
“ma almeno vi siete portati via qualcosa?”
“alcune birre”
“è il periodo” fa Gimmi
“in che senso?” chiedo
“è il periodo di merda” dice
“in che senso?”
“la gente sta a casa, ha paura, sta a casa non esce ha paura la gente”
“di cosa?”
“di tutto”
“tutto?”
“tutto”
“ma io vedo un sacco di gente in giro” dico
“è una finzione” dice
“in che senso?”
“sono comparse, vengono pagate”
“da chi?”
“da quelli”
“quelli?”
“quelli”
Gimmi tendeva un filo alla paranoia
ma mi piaceva
apparte il fatto che puzzava peggio del suo cane
era un tipo interessante
parlava poco ma quando parlava diceva
e quando era di buon umore raccontava
delle storie di fantasia molto belle
c’erano un sacco di gatti nelle sue storie di fantasia
i protagonisti erano quasi sempre dei gatti
la mia preferita era quella del gatto rotante
poi c’era quella del gatto matematico
poi quella dei tre gatti simpaticissimi
poi quella del gatto che si innamorò del topo femmina
poi quella del gatto gigante
poi altre
con tutto che a lui i gatti non piacevano mica
a lui i cani
mica i gatti
comunque, dicevo
eravamo seduti sulla panchina
intrisi di tristezza primaverile
e a un certo punto
so che sembra pazzesco
so che sembra incredibile a dirsi e ad ascoltarsi
e a vedersi, soprattutto a vedersi
giuro
a un certo punto
Gimmi
muore
giuro, muore
di colpo
cioè, immagina che uno è vivo
e un secondo dopo, è morto
di colpo
mi giro per chiedergli una sigaretta
e vedo che guarda fisso
fississimo
gli faccio “Gimmi?”
gli dico “oh Gimmi?”
“Gimmi checcazzo…”
e mi accorgo che è proprio
morto
ma morto morto
ineluttabilmente morto stecchito su una panchina a primavera
guardo Schifo
per vedere se anche Schifo se n’è accorto
e lo vedo stranamente fermo
steso su un fianco
gli do un calcetto
non si muove
“Schifo?”
“Schifo!”
sì
giuro
giuro su dio
è morto pure Schifo
sto sognando, dico
dico, sto sognando sto sognando, dico
questo è un cazzo di sogno del cazzo, dico
questo è un cazzosissimo stramalnatissimo sogno del cazzo
adesso mi sveglio
adesso mi sveglio
conto fino al tre
e mi sveglio, dico
dico uno
dico due
dico
come hai fatto Gimmi a morire in un modo così candido, così sobrio? come hai fatto? io la tua morte l’immaginavo nel vomito nel catarro e nella merda, e soprattutto, il tuo schifoso cane, questo tempismo perfetto, Gimmi? come me lo spieghi? come te lo spieghi? e poi ancora, Gimmi, che cosa mi rappresenti tu? chi sei? chi fosti? da dove venisti? dove andasti? perché Gimmi sei morto? cosa vuol dire? e l’insalata? l’insalata? l’insalata era davvero nell’orto? i gatti non mangiano l’insalata, Gimmi. Lo sanno tutti. Anche i bambini. Non bevono vino. Non mangiano pane. Ma come si fa a scrivere una canzone per bambini il cui concetto fondante è la morte di un gatto? ho bisogno di qualcuno che mi spieghi cosa faccio, Gimmi, e tu, tu eri non dico l’unico, ma uno dei pochi a potermi spiegare e ora che sei morto, tu e il tuo vecchio cane osceno, ora io mi sento piuttosto perso, Gimmi.
dico tre
Conclusione di spiegazione
Dunque, in pratica è successo questo: una cosa rarissima, cioè una cosa che succede tipo una volta ogni cento miliardi di anni. Adesso vado a spiegarla.
Però prima spiego come ho scritto questa cosa che in realtà intanto che scrivo queste righe non è ancora finita quindi non so bene, comunque io questa cosa è tipo tre settimane che la sto scrivendo. E ogni volta che apro il mio compiuter io vedo questa icona, questa cartella che ho intitolato “Gimmi Varazze”, e piano piano io ho scritto questa storia, che uno potrebbe anche dire: e ci hai messo tre settimane a scrivere sta roba? nel senso di: sta roba brutta, intenderebbe. Sì. Ci ho messo tre settimane ci ho messo. Ma la cosa importantissima da dire è che non è una roba brutta, capito? E’ una roba pazzescamente bella.
Comunque volevo spiegare cosa è successo veramente.
Io non è che volevo che andasse a finire che Gimmi moriva. Già solo per il fatto che era uno che raccontava bellissime storie sui gatti, non volevo proprio.
Io avevo tutta un’idea diversa. Che Gimmi non moriva e neanche Schifo ma ho fatto questo errore di procrastinare e dentro il mio cervello è capitata una cosa. Che poi non è vero che è una cosa rarissima che succede ogni cento miliardi di anni. Può succedere.
Ascolta: il mio cervello non mi ha voluto fare fare quello che io volevo fare e ha deciso di fare quello che voleva lui. Che sembra un’assurdità. Che uno potrebbe dire: ma scusa ma guarda che il tuo cervello e tu siete la stessa roba.
Io, a tal proposito, mi ricordo una mia fidanzata, tanto tempo fa, che avevo dei piccoli problemi penieni e le dicevo: guarda che è lui, mica io. E lei mi diceva: oh ma guarda che mica siete due entità distinte tu e lui!
Capito?
Invece no.
La verità?
Tutta la verità?
Tutta tutta?
Tutta.
Confessione
Tutto ciò che è stato scritto dopo “Conclusione e ringraziamenti e spiegazioni” è falso.
No. Quasi tutto.
Io ammetto che non sapevo cosa dovesse succedere tra me, Gimmi Varazze e il cane Schifo, e dunque mi sono inventato tutto. Non tutto tutto, ma quasi.
Che andrebbe anche bene, che qui si sta parlando di ficscion. Dunque andrebbe bene che io mi fossi inventato. Cioè, se uno non inventa nella ficscion, dove inventa?
Il problema è che io avrei voluto finisse in un altro modo molto più bello e poetico. Io volevo che ci si diceva delle cose molto intelligenti e poi volevo ci fosse un finale molto divertente e arguto. Ma mi ha preso la mano e sono uscito con il comprendonio. Ho perso il comprendonio e mi è sfuggita la faccenda di mano. Ho dunque deciso di confessare. E ho anche deciso che questa cosa non verrà mai pubblicata da nessuna parte e, anzi, forse la distruggerò e, dunque, se mai qualcuno la vedesse pubblicata da qualche parte vorrà dire che qualcuno è entrato in casa mia, mi ha ucciso e si è impossessato del documento in questione, dunque, se qualcuno leggerà questa cosa io potrei essere morto o scappato dalla finestra ma sono al quarto e mi sembra difficile.
Allora per riassumere, questo è un comunque raro caso di poesia fallita da parte del poeta che però decide di non buttarla nel cestino ma tenta, prima, di dare delle spiegazioni assurde che nessuno leggerà mai, poi confessa il suo fallimento e, la cosa, devo ammettere, mi dà una grande serenità e un senso di leggerezza anche perché non mi piaceva mica la piega che aveva preso sta roba che mi sembrava di essere pazzo e io sono un sacco di cose, anche brutte, ma pazzo proprio no.
E veniamo a Gimmi.
Gimmi Varazze è vivo e abita con il suo cane in una villetta con piscina da qualche parte negli Stati Uniti D’America.
Gode di ottima salute, come d’altronde il cane, che non si chiama Schifo ma Gimmi.
Sì, come il padrone.
Gimmi è un tipo originale.
Un po’ come se io chiamassi il mio cane Guido.
Ecco.
Ora che mi sono pure autocitato il nome, mi sento apposto.
Nota finale (veramente)
“oh Guido che c’è?”
“ma cristomadonna Gimmi, porcazzozza sembravi morto!”
“ma che morto, meditavo”
No, non va bene
Io ero morto e loro erano vivi.
Poi mi alzavo dalla panchina e camminando per la città vedevo tutti morti ma erano vivi, ero io a essere morto.
No.
Sembra uno di quei cazzo di film che vanno di moda adesso che sembra una cosa ma è il contrario e poi c’è il finale a sorpresa che nel finale ti spiegano che lui era morto e gli altri vivi che mi son scassato la minchia di sti film della minchia tipo de oders, sciatter aisland o il sesto senso che i sesto senso andava anche bene ma poi basta.
Perché scrivo tutte queste parole volgari tipo cazzo e minchia?
Non lo so. So solo che quando poi leggo in pubblico ste robe davanti alle vecchie o ai bambini mi viene l’imbarazzo.
Che dio mi fulmini
se non la finisco qui.
Finita.
Giuro.
Ciao.
ciao!
chi sei?
sono tu
fanfanculo! (fan fan culo)
va bene, ciao
sparisci!
Non ce la faccio devo ancora dire una cosa importante
Se stai leggendo queste parole cioè: “se stai leggendo queste parole cioè:” vuol dire che mi ami e dunque io ti amo e dunque io e te ci amiamo e dunque se stai leggendo queste parole cioè: “ se stai leggendo queste parole cioè: “se stai leggendo queste parole cioè:” vuol dire che mi ami e dunque io ti amo e dunque io e te ci amiamo e dunque se stai leggendo queste parole cioè:
scusa
Vado a dormire
sono le 00.24 del 17 giugno del decimo anno del nuovo millennio circa e vado a dormire perché sono molto stanco.
Ciao.
Sognidoro
e d’argento
e di lapislazzuli.
Parola d’onore
Mio papà quando ero piccolo mi diceva che parola d’onore era il giuramento più importante che un uomo potesse fare. Diceva che se uno diceva parola d’onore e poi non onorava la sua parola era un uomo che non valeva niente.
Parola d’onore in confronto a giuro su dio è cento volte più potente. Per due motivi: dio non esiste e comunque non glie ne frega una sega dei nostri giuramenti. Mentre l’onore è un nostro bene personale e se tu lo intacchi spergiurandoci sopra, sei fregato.
Non viene più pulito.
A tal proposito volevo dare la mia parola d’onore che ora la finisco qui e in questo modo mi costringo veramente a finirla.
Finito.
Fine.
Tè End.
Bonus Onoris
Però mio padre non sapeva che ogni uomo ha un bonus-onore. Una volta nella vita uno può giocarselo e dare la sua parola d’onore mentendo e non perdendo il proprio onore e io me lo gioco a sto giro.
E mi dispiace ma devo ancora dire che:
un mio amico mi ha detto che secondo lui io possiedo il dono di saper dire un sacco di cose senza dire assolutamente nulla, dunque potrei senz’altro entrare in politica o nel mondo del calcio professionistico.
Mi ha anche detto, il mio amico, che nel mio ultimo libro c’è un sacco di morte, di dio e di cani. E’ pieno di queste tre robe. E la cosa curiosa è che son tre cose che non amo in modo particolare. La morte soprattutto mi sta profondamente sulle palle. I cani mi sono indifferenti.
Dio, vabé.
Credo che Gimmi, se fosse ancora vivo mi direbbe: Guido scrivi un romanzo, sei pronto per il grande fottuto (lui usava questi termini un po’ all’americana tipo “fottuto”), romanzo del secolo e lo puoi senz’altro intitolare:
Il Cane di Dio
Dio è morto e il suo cane lo attende fiducioso sull’uscio di casa
Il nome del Cane di Dio
Dio ha un cane?
E alla via così. Si possono inventare un sacco di titoli sul tema.
Se veramente hai letto fin qui, o sei dio o sei il suo cane
Basta giuro, giuro basta, basta basta, giuro giuro.
Otto pagine signori di cazzate d’alto livello.
Cattazzio benevolenzie, si dice.
Io dico: son cazzate.
Voi dite: ma no, sei un fottuto genio della madonna.
importante dire: fottuto
E’ una tecnica.
Che odio, tra l’altro.
Cattazzio doppia
Ciao a tutti.
Grazie.
Ma: il vero e finalissimo finale recita così
Buonasera.
Mi chiamo Gimmi Varazze e sono l’amico immaginario dell’autore.
Meglio sarebbe dire: sono uno dei suoi amici immaginari.
Voglio precisare in questa sede che il mio cane non si chiama Gimmi, bensì Fumicotone.
E’ senz’altro un bastardo ma non puzza.
Non sono mai vissuto negli Stati Uniti ma dentro il cranio del Dottor Catalano.
Sono nato circa un mese fa ma ho quarantadue anni.
Sono pingue, alto un metro e ottantaquattro e fumo i sigari.
So di me, dunque, che fumo i sigari, che sono pingue e che sono piuttosto alto ma non troppo.
So anche di essere capace di raccontare storie sui gatti.
Non ho capito se sono morto o meno. Sinceramente non credo di essere morto. Anche perché se fossi morto non potrei raccontarvi questa bellissima e specialissima storia:
Il sudicio gatto suicida
C’era una volta un gatto senza nome che era il gatto più sporco che si fosse mai visto. Era così sporco che gli altri gatti non volevano avere nulla a che fare con lui. Era molto solo.
Nessun uomo e nessuna donna e nessun bambino e nessuna bambina lo volevano in casa perché era troppo sudicio. Dunque non aveva un divano per acciambellarsi e fare le fusa. E nessuno gli comprava i croccantini gustosi.
Il gatto sudicio decise così di suicidarsi.
Perché la sua vita era troppo triste e solitaria.
A questo punto signori, il discorso sarebbe che il gatto sudicio suicida inizia a trovare un modo per farsi fuori, tipo si lancia contro un Pitbull idrofobo per farsi sbranare. Ma il gatto, in quanto gatto, ci ha le famose sette vite e quindi si deve suicidare sette volte.
Capito?
E quindi tutta la storiella va avanti così, col gatto sudicio suicida che cerca sempre nuovi fantasiosi modi per farsi fuori (tipo i coniglietti suicidi, esatto) finché arriva alla settima vita, ma poco prima di farsi esplodere con una cintura di candelotti di dinamite appositamente indossata, gli viene un’intuizione: va in una lavanderia a gettoni, entra in una di quelle enormi lavatrici, si chiude dentro e la mette in moto (sul come faccia a metterla in moto da dentro, bisogna ragionarci un po’).
Comunque muore affogato.
Fine
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